Pubblicato il 25/04/2024
POLITICA
Luigi Marino con la V Ginnasio del Secusio a.s. 1920-21

Quando il regime sorvegliava i prof antifascisti del Secusio di Caltagirone



Ricordare la nostra storia è un imperativo morale. Per queste ragioni, oggi 25 aprile, è bene presentare, soprattutto ai più giovani, alcune figure di docenti, che negli anni grigi della dittatura fascista, quando il clima consigliava, per quieto vivere, il conformismo e la vile acquiescenza, mantennero la schiena dritta e non ebbero timore di testimoniare al Liceo "Secusio" di Caltagirone la loro fedeltà agli ideali di verità e libertà che insegnavano dalla cattedra ai loro studenti.   


di Giacomo Belvedere

«L’illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva: la storia insegna, ma non ha scolari», scriveva Antonio Gramsci. La conseguenza è, come ci ammonisce il filosofo e scrittore spagnolo George Santayana, che «quelli che non sanno ricordare il passato sono condannati a ripeterlo». Questa sua sentenza è incisa in trenta lingue sul monumento nel campo di concentramento di Dachau.

Ricordare la nostra storia è un imperativo morale. Per queste ragioni, oggi 25 aprile, è bene presentare, soprattutto ai più giovani, alcune figure di docenti, che negli anni grigi della dittatura fascista, quando il clima consigliava, per quieto vivere, il conformismo e la vile acquiescenza, mantennero la schiena dritta e non ebbero timore di testimoniare al Liceo "Secusio" di Caltagirone la loro fedeltà agli ideali di verità e libertà che insegnavano dalla cattedra ai loro studenti.   



Emerge dai ricordi di quegli anni, la limpida figura del prof. caltagironese Luigi Marino, classe 1896, che fu un fiero e strenuo oppositore del regime fascista. Per anni presidente diocesano della Gioventù cattolica di Azione Cattolica, insegnò Lettere classiche, prima a Piazza Armerina e quindi al Liceo Secusio di Caltagirone. A Piazza destò i sospetti dei gerarchi fascisti, tanto più che il professore calatino si ostinava a non volere la tessera del P.N.F. Nel 1925 il Provveditore agli Studi Gravino tenne una concione di rito fascista a tutti i professori medi della città, esortandoli ad iscriversi al partito. «Disse, è vero, – ricorda Marino in un articolo apparso sulla «Croce di Costantino» nel 1953 – che bisognava farlo se ciò si sentiva nell’animo, ma aggiunse questa non velata minaccia: “Se qualcuno poi non si iscrive, tanto meglio: così distingueremo i buoni dai non buoni”». L’avvertimento era ad personam: «Egli sapeva bene che tra quei professori c’era solo il sottoscritto che non aveva voluto iscriversi, come poi ebbe a dire in una conversazione privata, a me successivamente riferita».


Rientrato a Caltagirone nel 1926 al Liceo Secusio, il giovane professore non rinunciò alla sua abituale franchezza e libertà di parola, anche quando si trattò di riprendere il suo vecchio docente di filosofia, il prof. Grassi, che si era lasciato andare ad apprezzamenti poco lusinghieri nei confronti del clero, propagandando inoltre una sorta di mistica fascista panteistica. In una lettera al preside del 1 giugno 1927, Marino riafferma la sua stima e riverenza verso il suo antico professore, ma ritiene di dover difendere la sua «dignità di uomo, di educatore, di cattolico»: «in cose simili io avrei protestato anche contro mio padre e mia madre e contro il mio più grande benefattore, giacché al disopra del padre e di ogni benefattore sta il Padre nostro che è nei cieli, Dio, che è padre e benefattore dell’umanità».


Come era prevedibile, le posizioni del professore calatino, suscitarono la reazione del regime. Una denuncia anonima sull’attività sovversiva del prof. Marino giunse il 25 luglio del 1935 al Ministro dell’Educazione Nazionale: il professore veniva accusato di diffondere a scuola il “verbo del disfattismo”.

Il locale Fascio segnalò l’attività “sospetta” di Marino al Federale di Catania, che ordinò di tenere sotto stretta sorveglianza il professore calatino. Anche il Provveditorato fu interessato alla questione, a seguito di una denuncia del Nucleo Universitario fascista, e fece pressione, tramite il Preside del Liceo Secusio, perché Marino non portasse più pubblicamente, “nemmeno a passeggio”, il distintivo dell’Ac, la cui esibizione gli era stata già da tempo interdetta a scuola.

Marino si rifiutò sempre di portare durante le parate fasciste la camicia nera e rispondeva alle ottuse pretese del regime con la superiore ironia dell’intelligenza, indossando la divisa di ufficiale del regio esercito, nel quale aveva militato ed era stato decorato durante la Grande Guerra: il che equivaleva a rigettare l’accusa di scarso senso dello Stato.



Analoga sorte toccò all’Assistente federale mons. Michele Tiralosi. Una sua predica, tenuta nella Chiesa del Purgatorio di Caltagirone, in cui si commentava il noto passo di Col 3, 11 «Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti», venne interpretata come una critica alle leggi razziali del 1938. Il regime infatti inviava suoi emissari incaricati di spiare gli elementi ritenuti sovversivi. Tiralosi fu costretto a lasciare l’insegnamento religioso al Ginnasio e la direzione spirituale della Giac: solo il trasferimento urgente a Vizzini gli evitò il confino. Gli successe mons. Giuseppe Nicotra, il battagliero direttore del quindicinale «Vita», da lui fondato nel 1936. Ma anche il neo Assistente non fu gradito al regime, tanto è vero che nel 1941 gli fu sequestrato e chiuso il giornale, e ritirata la tessera di giornalista, per aver ospitato un articolo ritenuto gravemente offensivo per il Duce. Nell’articolo il direttore di «Vita» sottolineava che “finalmente” il Duce si era ricordato di Caltagirone. Quell’avverbio gli costò il giornale.

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